Contributi

LA VOCE DELLA TERRA, CARLOS CARLE'
Cecilia Chilosi

LA VOCE DELLA TERRA

Carlos Carlé è uno di quei rari artisti che poco amano discorrere del proprio lavoro, sia, per naturale riserbo, sia, soprattutto perché non ritengono necessario giustificare con le parole quanto prepotentemente è espresso dalle loro realizzazioni.
Per Carlé la materia si inserisce nel ciclo della storia, si fa traccia leggibile di una memoria che trascende l’estensione contingente dell’esistenza.Il ricordo ha depositato sulla scorza dei suoi lavori, abrasioni, lacerazioni, ferite, segni non superficiali, ma strutturali di un racconto che la carica vitale dell’artista (e dunque il suo élan vital) rende forma nello spazio, catturando e restituendoci il tempo. La possibilità di prepararsi da solo l’elemento primario, la terra, avvicina l’attività dello scultore ceramista e quella di un demiurgo.
“Io mi faccio la materia da solo, questo è il mio privilegio”, egli ama dire, delineando la genesi di un processo che si invera nel suo farsi.Lo scultore è anche ceramista, ma la ceramica è per lui un mezzo e mai un fine, uno strumento padroneggiato con deciso rifiuto dell’ornamento e del facile risultato. Diversamente dalla pietra o dal marmo, in cui si perviene alla forma per mezzo del togliere, liberandola dalla sostanza che la cela, egli è, come lo definisce Biffi Gentile, un “costruttore”; l’Artista plasma infatti l’argilla per via del mettere, secondo uno sviluppo formativo, quasi organico, di stampo architettonico. Carlé esercita un controllo sulla materia, convogliandone le forze sorgive entro geometrie primordiali, che si collocano in sintonia coi principi originari di una cosmogonia elementare: sfere, cerchi, quadrati, parallelepipedi sono le figure solide di riferimento.La costruzione delle sue sculture si connota nella dialettica tra razionalità e caos, tra interno ed esterno. Attraverso lacerazioni, squarci, ferite che penetrano nell’involucro materiale e rompe la vitalità primordiale, magmatica, altrimenti trattenute dalla struttura coerente.Le alte temperature producono, sul grés effetti rugginosi, sgretolamenti, consunzioni, incisioni, che rimandano alle corrosioni, ai combusti, alle drammatiche lacerazioni di Alberto Burri, come pure ai grandi muri di Antoni Tapies, suo riconosciuto maestro. Come per Tapies, lo scorrere del tempo si è sedimentato nella superficie delle sue opere lasciando segni che prefigurano mutamenti lenti, compiutisi in un arco cronologico che supera l’estensione della vita individuale del loro autore.Le opere dell’Artista, pare dire coi suoi megaliti Carlé, parlano di una vicenda lontana, ma sono rivolte al futuro, sopravvivranno sulla terra alla presenza dell’uomo, del cui passaggio rappresenteranno una traccia anche quando ormai il solo silenzio le potrà contemplare. Segni antropologici, documenti e dunque memorie, del destino dell’uomo, silenziosa testimonianza, come alberi disseccati di una foresta pietrificata. Come in un sasso, in un ciottolo è racchiuso il principio ordinatore dell’universo, in una singola opera è misurabile l’intera creatività dell’artista.Carlé realizza il suo lavoro non per raggiungere un effetto, ma per intima necessità, ogni esemplare è unico e rappresenta la sola soluzione e contemporaneamente, nel suo principio ordinatore, è frammento di un tutto. La mente e le mani dello scultore si inseriscono nel circuito del tempo e della storia per catturarne lo spirito e restituircelo attraverso le sue realizzazioni. Carlé è raccoglitore di sassi. Il tempo ha modificato la loro struttura, l’acqua li ha levigati, lo sfregamento li ha incisi, scheggiati modellando la loro superficie.Carlé è scultore chi si trova a suo agio tanto nella piccola quanto nella grande dimensione e in entrambe raggiunge esiti monumentali. Il riconoscimento a livello mondiale e l’apprezzamento della critica, hanno ormai definito il ruolo di Carlé nel panorama della scultura contemporanea.

Galleria Gagliardi - 2004: mostra personale "La voce della terra" di Carlos Carlè, testo di Cecilia Chilosi