Contributi

Prima Luce, STEFANIA ORRU'
Stefano Gagliardi

Prima Luce

Senza titolo, anzi no: Prima Luce.
Le opere in mostra hanno tutte lo stesso titolo "Prima Luce": diversamente sarebbe stato come dare un nome alle singole foglie di uno stesso albero.
 
Stefania Orrù vive in un piccolissimo paese umbro, in un quieto microcosmo non lontano dalla città e da luoghi intrisi di storia millenaria. In Umbria, terra dove la grande arte, da sempre si mescola al pellegrinaggio di una fede e alle coscienze inquiete in cerca di pace e ristoro. Vive lì, in una casa immersa nella luce fra il bianco delle pareti ritmate dei suoi quadri. Vive sola, ma ha tutto quello che le occorre. Soprattutto vive il contatto felice ed affettuoso delle cose e delle persone che esistono per lei, che parlano di lei: con naturalezza vive la scelta esistenziale, a volte estrema, votata alla costante percezione della propria esistenza: vive di arte, si interroga e si ascolta. Ascolta se stessa e, mentre le stagioni della vita lasciano il proprio segno, accetta che le domande via via emergano: i libri letti, i viaggi fatti, gli amori vissuti, i paesaggi attraversati, gli abbandoni, le solitudini, spesso la soccorrono offrendole le certezze di una risposta. Le domande, per lei più dolorose, sono quelle che non cambiano, quelle che non la fanno avanzare verso una maggiore consapevolezza di sé stessa, verso il suo innato desiderio di una compiuta spiritualità. Il suo è un viaggio verso la bellezza, lento, faticoso, solitario; rientra nella scelta esistenziale di un moderno Icaro che, “…arso dall’amore del bello”(*1) non rinuncia al volo anche quando ha le “…braccia a pezzi a forza di abbracciare le nuvole. “(*2)   All’interno di una realtà divisa fra ciò che può e deve essere capito e ciò che può o deve essere desiderabile, la Orrù  vive in sostanza una dimensione etica e spirituale alla quale il suo fare arte non può e non deve sottrarsi. Un valore etico a 360 gradi dove nel suo procedere artistico la bellezza non prescinde mai dalla verità. Quando lavora scandisce il proprio tempo in ritmi e pause quasi monastici, subordinati ai tempi precisi e vincolanti della pittura, dell’affresco: tempi dilatati all’interno di una sedimentazione di piani materici, di velature emozionali, oscillanti, fra il furore del gesto e la compostezza ed il controllo della mente. Il suo è un vissuto. E’  l’atto finale pittorico che segue quel processo di intima astrazione dove il distacco dal proprio io produce, attiva e perfeziona nuovi livelli (condizioni-momento) di acquisizione dell’essere. Stefania Orrù sembra trasferire in pittura la formula di Arthur Rimbaud «Io è un altro», che si può tradurre in quell’improvvisa emergenza del pensiero che porta l’artista a essere altro da sé, separandosi dalla condizione di essere in sé. L’artista, nell’annullamento del proprio io individuale, si ricongiunge a una dimensione superiore, in un tempo che diventa dinamico, in termini di consapevolezza e, soprattutto, fluido nelle leggi del proprio divenire. L’artista trasforma il proprio viso, oggetto del suo sguardo, in un volto altro, soggetto della propria visione: in questo caso la vero somiglianza  esteriore cede il posto al manifestarsi di una entità che trasferisce a sé un insieme di suggestioni e conoscenze altre: il viso oggetto si trasforma in un volto che la guarda, che ci guarda, ovvero, che ci riguarda. Stefania Orrù si fa ritratto, crea opere che parlano di lei, del suo volto, del suo corpo, non come donna al centro dell’universo, bensì “come esemplare umano” che si offre a contenere dimensioni in espansione; è solo così che l’artista, «…attraversando ogni forma di sofferenza, di amore e follia per raggiungere l’ignoto» perviene a quello che Rimbaud auspicava: “farsi veggente”. L’artista si fa veggente quando è capace di indicare nuovi percorsi dell’essere. Stefania Orrù perviene a questa dimensione, tipica di molta arte con - temporanea, con la tecnica pittorica più antica del mondo; nelle sue mani e nell’avanzamento costante di una continua ricerca, l’affresco diventa altro: non è più solo il supporto clas - sico su cui risolvere la pittura, né tantomeno il fondo votato ad accogliere il semplice trasferimento di un’immagine. L’affresco nel suo farsi si trasforma in materia stratificata, organizzata, raschiata, tormentata, ricomposta fino a legarsi intimamente con la luce ed il colore. Diventa condizione materica per la precisa individuazione di uno spazio poetico, nonché psichico. Diviene insieme all’artista allineando -si alle sue pause ed urgenze emozionali. Nelle mani dell’artista la materia dell’affresco si trasforma, essa stessa, in segno, colore e luce. La mostra” Prima Luce” racconta l’incanto trasferitosi sull’artista, prima che a noi, vissuto nei tempi di un suo simbolico venire, tornare alla luce. Le opere in mostra sono la rivelazione figurata del compiersi di una liberazione: il progressivo svincolarsi della veste-drappo, metaforicamente sentito come corpo altro. L’opera, ”il grande nudo in piedi”, diventa l’atto finale di questa metaforica svestizione, simbolo quasi di un ritorno al proprio corpo primigenio: è l’emozione del corpo che incontra fuori da tutto il tempo, dentro tutto lo spazio la propria “prima luce“ e, mentre ne viene attraversato, quel corpo si dichiara: io sono, eccomi !  
 
*1 e *2 “Il lamento di Icaro” di Charles Baudelaire

Galleria Gagliardi - 2015: Mostra personale di Stefania Orru' "Prima Luce",  testo critico di Stefano Gagliardi