Contributi

LA VIA DEI CANTI, IBERIA MEDICI PERTER ASSMANN
Vincenzo Tommasello

LA VIA DEI CANTI

L'EFFLORESCENZA FLUTTUANTE - FISICITA' E MONUMENTO ALLA MANCANZA

L'orizzonte ermeneutico del moderno è quello caratterizzato dalla coscienza di un impossibile ponte con la tradizione; forse proprio per questo torna sempre - come riferimento polare e nostalgia del fondamento - la ricerca della domanda giusta (presente nel mito, sino al Parsifal moderno) che ricrei e sani la frattura interiore e collettiva che segna la "perdita". Essa segna anche la ricerca degli artisti che frequentano confini, frontiere. Ricordo un bel passo di Apolinnaire che chiede pietà per coloro che osano affacciarsi e frequentare territori non arati, mettendo a repentaglio la propria integrità. La speranza è quella di acquisire un "novum" che permetta di poter parlare, ovvero parlare sensatamente, cioè in modo condivisibile; in modo da legare con e nella parola in un progetto comune che renda sostenibile quella sofferenza e quel travaglio che sono anche il luogo della riconquista di sé una volta che si è riconosciuta la propria condizione di viaggiatori della coscienza. E' questa la condizione del moderno: quella in cui la tecnica - e le trasformazioni del mondo che essa mette in atto - proprio perché allevia l'esistenza, fa risaltare nella coscienza la problematicità della sua identità e del suo afferramento, in modo che essa lo esprima nella nostalgia dell'origine e nell'angoscia del presente: l'inquietudine e l'insoddisfazione per il dato di fatto e per il sistema di cose stabilito diventano allora le figure predominanti della soggettività. L'Opera di Peter Assmann è in questo elaborare lo spaesamento, erede chiara della cultura mitteleuropea; in questa mostra provoca nel fruitore non tanto il sentimento dell'assenza del senso, quanto quello della "mancanza", complice in questo di altri austriaci come Thomas Bernhardt e Peter Handke - Tra quelli che più abbiamo frequentato - che ci hanno donato mirabili pagine di sospensione e di ricerca rispettando la vocazione critica della migliore cultura austriaca; ricordiamo così la sapiente affabulazione di Claudio Magris in Danubio, quando si accinge a parlare di Regensburg e del suo ponte di pietra: "Il pathos imperiale è il pathos di un'assenza, di quello scompenso tra la grandezza dell'idea e la povertà del reale". L'assenza è anche il titolo di un romanzo di Handke del 1987, in cui l'andare geografico ricalca i passaggi della coscienza e della sua riflessione.  La soggettività per raccontarsi rinnova l'esperienza mitica del viaggio come luogo delle possibilità e della iniziazione. Questo viaggio e incontro d'arte con Iberia Medici evidenzia questa volontà dello "spostamento"; esso avviene in un contesto dove le migrazioni e le contaminazioni culturali producono significati diversi da quelli indicati dalla cultura ottocentesca. L'attenzione di quest'ultima per la mediterranea "vita piena", come fervore solare del "tutto in atto" ed in sé appagato - una volta "mito" - è diventata ormai mera ideologia e tuttavia - nel nostro tempo - essa tenta ancora il linguaggio; anche quando incespica e anzi proprio allora, sogna ancora la raggiungibilità del tutto e lo ha proprio in questa permanenza sul confine interculturale; la soggettività si colloca ai confini, nel capitombolo sospeso, sondando ipotesi d'atterraggio e anzi, ancora, si compiace dell'estenuarsi del volo; la parola si scopre mancante; occorre suscitare la speranza che altri, con altre combinazioni, e altrove, abbiano risorse e onestà per compierla e permettere la veicolabilità del senso; e qui si comprende la mitwerke Medicea. Per il suo carattere di vedetta ai confini, e confini di parola, come una sentinella, l'artista è come un meteorologo capace di avvertire e/o interrogare lo spirito del tempo; e il nostro è quello, da tanto, dell'incompiutezza e dell'attesa.  Le opere realizzate da Iberia Medici, su indicazioni di Peter Assmann, non devono distrarci e fuorviare; l'uso variegato di tecniche e materiali diversi attraverso i quali Iberia Medici modula il proprio patrimonio di competenze risorse e sensibilità va compreso all'interno di questo spirito del tempo. Dietro lo spettacolo delle contaminazioni, delle tecniche, delle culture e delle tradizioni artistiche "altre", si cela la medesima "vacanza" che chiama il sorgere di una nostalgia del fondamento. Questa mostra, quindi, sembra rivolta alle coscienze che sanno permanere con lo sguardo davanti all'insondabile vuoto. Anche quando - a volte - esso incanta se stesso, immerso nella forza lussureggiante degli elementi dove la vita sembra porli combinati ad arte a sedurre la mente e i sensi. Nel panorama artistico siciliano, Iberia Medici e la sua opera sono stati come un fiume carsico che sotterraneamente ha toccato diversi territori emergendo se non per saggiare, tastare lo spirito del tempo; un tempo fatto di contaminazioni e la cui identità va capita ed interpretata alla luce delle sue trasformazioni; la sua opera testimonia così il manifestarsi di un'anima plurale. Molti segnali, da tempo testimoniano di una soggettività che da un lato si pone alla ricerca delle proprie radici, ma che dall'altro prende atto dell'avvenuta formazione di una identità plurale e questo si coglie in Iberia Medici, sia nelle tecniche espressive, che nell'oggetto di indagine: nel ritrovamento di uno spazio e tempo consonanti che possano recepire un'attività rivendicata come asistematica, nomadica, contaminata. Siamo come davanti alla dichiarazione di una impossibilità antropologica che tematizza da un lato "spaesamento", dall'altro l'ascolto di quelle culture "altre",che hanno contribuito negli ultimi tre decenni a comporre nella cultura occidentale un'anima-mosaico: uno specchio rotto che trasmuta l'identità in dialogo interculturale. 
La composizione di aperture di senso è possibile, quindi, solo attraverso l'abbandono ottimista di una propria identità totalizzante - per altro assai poco augurabile visti gli esiti nefasti del primo Novecento - per aprirsi alla ricchezza dei contributi che il flusso di esperienze ed il formarsi di competenze sviluppano nel corso della propria deambulazione senza fondamenti; naturalmente sembra lezioso ricordare che a volte non è un caso che un caso è un caso; essere curiosi e all'ascolto, possiamo pensare, fondi un nuovo modo di orientarsi di un ambiente culturale ormai non più connotato monoliticamente, ma "composto"; un ambiente che abbraccia, che popola di contributi creativamente tesi a creare nuovi orizzonti di dialogo e di ricerca sui nuovi assetti della sensibilità, dell'esperienza, della cultura e quindi della memoria e della storia; un paradigma ce lo fornisce la più recente opera della sociologia francese guidata da E. Morin: il percorso, non semplice e neanche indolore, che fa fluire ordine, disordine e organizzazione; ma penso anche a M. Serres quando scrivendo Il mantello di Arlecchino, parla del "terzo incluso" a onta dell'occidentale logica del terzo escluso, o ancora a Morin quando traccia la nuova immagine del percorso dell'Europa, anche fuori dall'Europa, e in base a questo giunge a proporre una riforma del pensiero e dell'agire comunicativo. 

Galleria Gagliardi - 2001: mostra personale "La Via Dei Canti" di Medici-Hassmann, testo critico di Vincenzo Tommasello