Comunicato Stampa

ISAO SUGIYAMA di Isao Sugiyama
Testi critici di Valerio Dehò / Monica Dematte'
dal 15/09/2001 al 07/10/2001

2001 - Galleria Gagliardi, San Gimignano

L’effimero è eterno.

Tra i simboli dell’eternità e della sicurezza, certamente quello della Casa è il più ricorrente. La Casa infatti è la versione individuale del Mondo, cioè della casa universale di tutti gli uomini. Questa simbologia che abbraccia tutte le culture, non vi è religione che non l’abbia fatta propria. In termini junghiani , possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un archetipo, a qualcosa che non muta con i tempi, che non è attaccabile dai mutamenti del gusto. Dagli Indù ai Cristiani, il problema è quello di possedere, costruire, trovare un riparo, un proprio ambiente: bisogno elementare quanto eterno. "Tornare a casa" è felicità e sicurezza così come "la casa dei genitori" o "Di Dio", è sempre pronta ad accogliere i figli smarriti per le vie della conoscenza. La conoscenza apre mille percorsi, tutti equiprobabili, ma scegliere vuol dire trovare la strada del ritorno. Tutto questo non è facile. La nostra esistenza è fragile, viviamo la provvisorietà come un fatto duraturo. In più l’uomo si sbaglia facilmente, è spesso abbagliato da una realtà fittizia, falsa e suadente come le sirene d’Ulisse. Isao Sugiyama affronta con esemplare chiarezza questi temi. La sua cultura giapponese lo conduce a mettere insieme la complessità del pensiero con una semplicità di forme che sorprende. Il simbolo della Casa è sempre presente, nella sua forma sacrale, quella del "santuario", la casa dei santi. Questa è forza, costruzione basica , ma all’interno di questa vi è una fragilità non apparente, ma sostanziale. E’ quasi come se l’artista nascondesse nelle sue elaborate sculture un punto di crisi, un dubbio.Qualcosa di simile la ricordiamo situata nelle grandi Cattedrali d’Occidente, almeno secondo la teoria dell’alchimista Fulcanelli. Un punto magico che basta toccare per veder crollare l’immensità di pietre, di vetrate e guglie che sfidavano l’eterno.
L’artista mette d’accordo estremi difficilmente conciliaboli: il caldo e il freddo, il marmo e il legno, l’effimero e il duraturo, il pieno e il vuoto. Il lato estremamente affascinante del suo lavoro sta proprio nel senso di creare un collegamento tra gli opposti. Tra interno ed esterno, per esempio, e la casa ne costituisce il giusto mezzo perché protegge da ciò che è fuori e nello stesso tempo crea una relazione tra l’Uomo e la natura. E questa intuizione è fondamentale. Sugiyama pone come diaframma la casa, cioè il lavoro, la fatica di edificare dal nulla, di costruire, di creare uno spazio umano faticosamente sottratto all’infinito dello spazio esterno. E questa sintesi è proprio il lavoro, lavoro che è necessario per edificare, ma che è anche necessario per realizzare le sue sculture sempre al limite del prodigioso.La sua scelta è spirituale. L’atto del costruire avvicina a Dio, a quei santi che costituiscono il tramite tra il visibile e l’invisibile. Sugiyama sa che l’uomo più di tanto non può dare, conosce la vicende delle immense imprese dell’uomo che Dio ha interrotto: la Torre di Babele. L’uomo deve costruire la propria casa, ma non deve avvicinarsi alo Spirito attraverso un atto di superbia. L’uomo è effimero, questo ci dicono le sculture dell’artista giapponese, ma in questo effimero cerca l’eterno perché solo così può andare avanti, costruirsi un futuro, cercare di sovrapporre il suo volto a quello del Creatore. La stessa tradizione massonica, e quindi laica, ha tramandato questo messaggio. Vi è più spiritualità nel costruire una casa, che in tutte le profezie di Isaia o Celestino. Sugiyama rilava lo spirito dell’uomo che si fa architetto della sua vita, della sua famiglia, del suo cosmo. La vita dell’uomo è sospesa su di un ponte stretto e pericoloso. Ma è qui che dobbiamo vivere. E’ qui che ha un senso il nostro tempo.
La stessa sapienza e pazienza costruttiva, entra a far parte del lavoro. Il suo messaggio spirituale passa attraverso il tempo-lavoro, questo frammento di eternità che l’artista trasfonde nell’opera. Ogni scultura, ogni fine incastro, ogni sottile passaggio tra i materiali, ogni particolare giuntura, richiede ore di fatica e di attenzione. Perché il senso sta proprio nell’affidare ad ogni opera, il senso di un lavoro non banale e distante da ogni procedimento meccanico che lo sporcherebbe. Bisogna comunicare il valore del "Great Work" in senso alchemico. Occidente e Oriente si toccano nel delicato equilibrio della conoscenza. L’opera, la costruzione, la piccola e immensa architettura dà senso ai non certo rettilinei processi del sapere. L’attenzione meticolosa al particolare non è un vezzo stilistico, ma è una scelta poetica.. Il grande lavoro, la grande cura sono parte di ciò che l’artista vuole comunicare, sono parte del significato dell’opera. Anche la variabile del tempo-lavoro riconsidera il rapporto dell’artista con l’arte e prende le distanze dalla poetica del ready made, che ormai si avvicina a celebrare quasi i suoi cento anni di vita. Si torna a considerare il lavoro qualcosa di filosofico, non un semplice mezzo per avvicinare il denaro, ma anche conoscenza autentica e bisogno di comunicazione tra l’artista e il pubblico.
Per questo il simbolo spirituale della casa, la sua solidità e nello stesso provvisorietà, ci fa affermare che "L’effimero è eterno". Vengono in mente anche le parole di Jorge Louis Borges quando diceva che "Dobbiamo costruire sulla sabbia, come se fosse roccia". Questa è la fatica dell’uomo, costruire, mettere insieme materiali distanti, cercare l’impossibile e trovarlo, magari in una scultura, nell’arte di Isao Sugiyama.

Valerio Dehò

Valerio Dehò ha studiato Estetica con il Prof. Luciano Anceschi e Semiotica con Umberto Eco a Bologna. Si è laureato in Filosofia  del linguaggio nel 1979. Attualmente è docente di Didattica e Pedagogia dell'Arte presso l'Accademia di Belle Arti di Ravenna. Ha curato il Progetto Novecento per il Comune di Reggio Emilia dal 1997 al 2000. Attualmente è curatore presso il Kunsthaus di Merano (BZ). Dirige il "Click Art Museum", un progetto in rete collegato con le banche dati sull'arte in Europa. Dal 1980 a oggi ha curato in Italia e all'estero 106 mostre d'arte contemporanea e pubblicato 21 monografie editoriali. E' corrispondente dell'Art Magazine "Juliet". Ha scritto per le principali riviste d'arte italiane.