Comunicato Stampa

LAPIS di GAMBONE
Testo critico di Marco Magnani
dal 27/12/1995 al 07/01/1996

1996 - Galleria Gagliardi, San Gimignano

Nel 1790, all’alba della modernità, Kant scriveva nella Critica del Giudizio: “Nella pittura, nella scultura, e in tutte le arti figurative, in quanto sono arti belle, l’essenziale è il disegno, in cui ogni affermazione del gusto non riposa su ciò che diletta nella sensazione, ma su ciò che piace semplicemente per la sua format.”

L’affermazione potrebbe facilmente essere scambiata per uno strascico tardivo della concezione neoplatonica del disegno - traccia sensibile dell’idea - che dal Cinquecento imperava nelle teorie sull'arte.

Non è così ovviamente, al filosofo interessa come l’uomo reagisce al mondo, non ciò che si suppone stia fuori di esso. Il primato del disegno sul colore (la cui qualità è quella dell’ “attrattiva”) sancito da Kant, è da inscrivere piuttosto nella temperie “primitivista”del Neoclassicismo, nella sua ansia antibarocca di semplicità, di sintesi. La distanza dall’idea di Klee del disegno come “confessione creatrice” non è poi cosi sensibile.

L’espressione sta a significare che la matita scava nel momento aurorale della creazione, fa incontrare l’artista con l’essenza etica e noetica della produzione di segni, elementari, potentissimi catalizzatori e filtri dell’interiorità.

Nel momento attuale dell’arte in cui sembra che essa – assediata da ogni parte della straripante produzione d’immagini mediatiche, lottando strenuamente per la sopravvivenza – non possa che produrre simulacri (proprio nel senso di copie senza originali) di reperti abbandonati dalla risacca del sistema delle merci, una mostra come LAPIS assume quindi un valore di proposta. Si tratta di contrapporre allo sgargiante lussureggiare di icone che ci circonda, nutrire di solo presente, addirittura il cuore fermo e ancorato all’assoluto, della creatività in arte,

Scriveva Matisse: “Come, parlando di un melone, si muovono le due mani per esprimerlo con un gesto, così le due linee che delimitano una forma devono renderla. Disegnare è come fare un gesto espressivo, con una durata permanente”.

Quando la matita affronta la superficie della carta, in un eterno ritorno, rinnova l’appuntamento col vuoto da cui ha origine tutta l’arte di sempre. L’evento primario dell’incontro del segno con la superficie scatena la vertigine del possibile su cui essa si fonda.

In mostra, attraverso i lavori di tanti e notevolissimi artisti, il ventaglio aperto a 360 gradi di modi e tendenze non fa che confermare come tutta la vicenda espressiva, ogni vicenda espressiva, proceda a partire da un unico nocciolo primordiale in cui ancora, dimensione progettuale, emozione espressiva, volontà di definite attraverso l’introspezione il magma ribollente dell’individualità personale, sono ognuno non la faccia diversa della stessa cosa, ma la stessa cosa.

Il disegno, l’ha messo in chiaro questo secolo, non è l’essenza Dell’arte in quanto suo “a priori”, lo è in quanto parte di un sistema di cui costituisce come una sorta d’inconscio, di laboratorio sperimentale, progettuale, autonomo ed eteronomo nello stesso tempo.

E ancora, nel 1995, la linea, la macchia, il tratteggio o lo sfumato dei trapassi tonali, il loro adattarsi alla grana della carta, hanno un fresco, potente sentore di castità, di semplicità sapiente che ha tutta la forza dell’utopia, del manifesto.

Marco Magnani