Contributi

FORME, KENJI TAKAHASHI
Testo di Luigi Meneghelli

FORME

La forma è ignara di aggettivi, tesa verso il congedo di ogni significato: eppure conseguita attraverso una composizione irritata di sensibilità resa da elementi di marmo che conoscono la frattura, l'imperfezione il dispendio e la successiva ricompattazione (anzi la laterale ricucitura). Il tutto, però, lasciato in vista, quasi a voler esibire i materiali usati e il procedimento messo in atto; e anche: il tutto, impegnato per depotenziare l'idea di perfezione, per svalutare l'illusione della totalità. Risonanze, dunque, del pensiero Zen, nell'opera del nipponico Kenji Takahashi: costruzioni di mondi discontinui ed aperti inquadrati dal vuoto e non inquadranti nulla, ambizioni fisiologiche di spazio, ma di uno spazio che perde invariabilmente il suo luogo, che smarrisce il suo centro: infine avventure di una materia lavorata dalla pausa e dalla sottrazione. Ma il vero senso della scultura sta lì, in quel continuo trauma, in quell'evento spezzato, in quel suo esistere-non esistere. Non si tratta però dell'elaborazione (tutta occidentale!) del lutto, ma proprio della presentazione di una infinita origine, della pratica del linguaggio conciso, come se il tutto fosse indicibile o come se si potesse dire sempre qualcosa ancora. Gli stessi frammenti che strutturano la scultura non sono da leggersi come separazioni, ma come aggiunte; segni che negano la definizione in favore di una ulteriorità (di un vuoto) che permette allo sguardo di penetrare e di "crearsi" il suo pieno.
Galleria Gagliardi-2005: mostra personale " Forme" di Kenji Takahashi;  testo di Luigi Meneghelli