Contributi

GUERRIERI, CAVALLI E CENTAURI, PAOLO STACCIOLI
Ornella Casazza

GUERRIERI, CAVALLI E CENTAURI

Le ombre lunghe di durevoli ricordi
 
E' difficile stabilire se sia stato il destino di una scia affettiva, di una storia familiare raccontata dallo stesso Staccioli, o quella dei cavalli, a intrecciarsi in una comune strada.
A 'Cavallo del tempo' si ricostruisce una sedimentazione forse veramente vissuta: il cavallino con le ruote, un giocattolo  che vediamo in mano al padre dell'artista ritratto all'età di tre anni in una foto del 1917. O piuttosto il più lontano Cavallino con le ruote, il giocattolino  in terracotta del sec. X a.C..
Scalpiteranno gli zoccoli, ancora, da quella lontananza a questo presente. Solo il nitrito scompare in dissolvenza. Durevoli ricordi. Eccoli apparire in sogni che girano nelle giostre, volteggiano assieme a cherubini; si mescolano a polvere e sudore nelle Battaglie di Paolo Uccello. Cavalli che Paolo Staccioli, negli anni ottanta, dedica al protagonista delle sue visioni,  irrompono poeticamente, nel suo mondo  pittorico e scultoreo. "E se – come ha scritto Cristina Acidini in occasione della mostra al Museo di Arte Sacra a San Casciano Val di Pesa (FI) nel 2017) – i cavalli disegnati o graffiti o modellati trasmettono un senso di così vitale e disinibita libertà da potersi paragonare agli animali evocati sulle pareti delle grotte dagli sconosciuti artisti del Paleolitico, anche per loro si prospetta la costrizione di un movimento ripetitivo predisposto e comandato da un'autorità sconosciuta quando vengono messi in cerchio a correre l'uno dietro l'altro in improbabili giostrine in cui l'allegria è una vernice sottile".
Per Paolo, il cavallo è un animale mitico, divino plasmato dalla dea Atena, trapassato nella sua memoria, con libertà, leggerezza, e l'ironia  riconosciute dalla critica fin dagli esordi (Nicola Micieli 1997, Tommaso Paloscia 1999, Antonio Paolucci e Ornella Casazza 2005, Claudio Paolini 2011).
L'arte del cavalcare, che attraversa il Tempo, entra nel suo repertorio figurativo rivelandosi ricco di suggestioni sapientemente combinate. Chiuso nel suo laboratorio "l'antico e la tradizione – come ha detto Antonio Natali nel catalogo della mostra di Paolo Staccioli nel Comune di Scandicci nel 2017 – seguitano a proporsi come modelli; non già per via di sentimenti nostalgici, bensì in virtù della convinzione che il passato quand'è lirico e colto, pur sempre resta esemplare; indispensabile per vivere consapevolmente la stagione che c'è toccata".
Nel silenzio l'artista riflette plasmando memorie lontane, di piaceri provati sui testi, nelle sale dei  musei "riscoperti e ricreati con libertà e candore; modella la sua identità e la sua partita si gioca in una contraddizione tra il bisogno di essere moderno e antico, conservatore di forme e di cangianti superfici" (Ornella Casazza 2001).
Recupera linee di tensioni, suggerisce varianti; ironico il suo Eros che, come  bambino alato, gioca da solo o con altri fanciulli divini modellati sul collo di un vaso, che rievoca, i vasi prodotti in antico a Canosa di Puglia, da lui realizzati negli anni novanta (Maria Anna Di Pede, 2009) in faenza ingobbiata dipinta con ossidi e sali sotto vernice e lustrata in splendidi colori che rifulgono di  bagliori  di tramonto o  iridescenze  lunari, favoriti dalla complicità del fuoco.
Un puttino sa cavalcare dall'aprile 2000 nella bellissima natura del Parco di Poggio Valicaia, sopra Scandicci, abbracciato al collo di un possente cavallo in bronzo, alto due metri, verde come il cavallo  di terra verde di Paolo Uccello che guida sicuro, a esplorare il creato e le vie degli uomini.
Staccioli, con imprevedibile novità, sapienza compositiva, genialità espressiva, costruisce l’immagine fantastica e visionaria del reale nel suo rapporto con il paesaggio: un paesaggio che è sempre lo stesso, carico di racconti, incastonati, ancora, in racconti di cavalli, di leggeri cavalieri sospesi nel vuoto, di personaggi in bilico in originali dondoli; forme  fitte nello spazio, senza gerarchie prospettiche o temporali: vicino e lontano, prima e dopo perdono di senso.
La spazialità, pur sempre compressa da piccoli cavalli in rilievo si definisce nelle armature dei suoi bonari e immobili guerrieri che, pur provando forse un sentimento di rimpianto per un luogo dove non sono mai stati, non torneranno né partiranno mai per combattere pur armati di lancia e scudo.
Poi c'è la nostalgia, pena della lontananza, perdita non di un luogo cui vorremmo tornare, ma di quello che in quel luogo e in quel tempo siamo stati e non possiamo più essere; ma la salvezza per Paolo è questo assecondare un vento di inquieti turbamenti che ci riconduce ad una terra emozionale a noi nota.
Appaiono poi, malinconici, uniti con solida naturalezza, gruppi di sette, otto, dieci, cento: numerosi e silenziosi guerrieri, enigmatici viaggiatori che, sebbene pronti per un viaggio di ritorno nella memoria, non partono: attendono, forse un gruppo di altri Viaggiatori con sfera in giacca e cravatta sgargianti che tengono in mano o sulla spalla una sfera, atlanti del quotidiano, che  sorreggono il mondo.
Mitografie del presente, queste figure maschili e femminili si allontanano dalla realtà, in un mondo che non esiste ma tangibile nella mente di Staccioli quando riflette su memorie  surreali e metafisiche.
 
Leggi anche l'altro testo critico di Antonio Natali riguardo la mostra di Paolo Staccioli "Guerrieri, cavalli e centauri".