Contributi

Altri Cieli. Elegie del Trovatore, CLAUDIA GIRAUDO
Stefano Gagliardi

Altri Cieli. Elegie del Trovatore

ALTRI CIELI
Il titolo Altri Cieli. Elegie del Trovatore scelto da Claudia Giraudo per la sua mostra, riassume in modo esplicito l’orientamento decisamente letterario di questi suoi ultimi lavori. I “cieli” a cui l’artista fa riferimento sono i cieli dell’altrove, in un tempo collocato nella lontana “età di mezzo” che vide svilupparsi per quasi tre secoli la figura del trovatore, il poeta cantore al servizio della bellezza e dell’amore: un poeta laico, colto, appassionato giocoso, saggio ed irriverente. Sono cieli sotto i quali si raccontano storie ricche di immagini evocate dal magico suono di una lira o di un flauto; cosicché il pennello del pittore-poeta si muove leggero alla ricerca d’inesplorate melodie del colore. Il pittore attraversa i cieli del poeta, che canta e mette in prosa l’amore ed elegge a propria musa la donna, come mediatrice dell’assoluto: e allora i cieli diventano altri, quelli del trovatore. Ma Claudia Giraudo, nello specifico delle opere dedicate al ciclo dei poeti, si sostituisce di fatto al trovatore che stranamente non viene rappresentato: nessuna lira, nessun flauto che ne indica la presenza. Molto viva è invece la forza poetica dell’artista che assiste per noi al compiersi dell’incanto amoroso colto nell’atto finale più sublime: quello del dono! Della scelta senza ritorno, che gli amanti si fanno, svelando se stessi nell’accoglimento dell’altro. Colui che ama, allo stesso tempo chiede di essere amato ed è anche pronto ad offrire se stesso. Ciascun personaggio del ciclo pittorico “I Poeti” viene dipinto in forza di questo mutuo dialogo e del dono di sé che gli amanti, da sempre, reciprocamente, si fanno. Nell’opera Il custode del Mistero, l’amante-poeta viene raffigurato con in braccio un pavone da cui è amorevolmente imbeccato. Egli non può fare a meno di quel nutrimento che, insieme alla bellezza esteriore e alla totalità dello spirito interiore, rappresenta allo stesso tempo il simbolo-dono dell’immortalità. Bello, elegante, sembra malinconicamente in attesa che l’amata gli si dichiari: solo allora e in virtù di quel sentimento, il pavone spiegherà la sua ruota di piume e permetterà la condivisione della simbolica espressione della grandezza dell’universo, insieme al dono riflesso di un magico cielo stellato. L’amore puro e sincero, simbolo di limpidezza e trasparenza, è il tema dell’opera Il canto sussurrato. La giovine sembra in attesa dell’altro a cui donare il suo amore segreto: con delicatezza rivela la propria castità femminile rappresentata dal bocciolo nascosto dai petali delle rose bianche. Senz’altro accoglierà l’amato che, come il camaleonte sulla propria spalla, saprà adattarsi alle situazioni avverse, attraverso un paziente e mimetico dinamismo. Le opere Io cerco un Tesoro, Pour Vous e L’arte del Trovatore sembrano contenere le medesime caratteristiche: tutte sono liricamente risolte nell’esplicito ricorso all’indagine introspettiva degli sguardi e alle intensità emotive del gesto dell’offerta. Il dono qui nasce da una interiorità misurata e consapevole, in grado di accogliere l’altro nella certezza di esserne già sua parte. L’opera Io cerco un Tesoro sembra evocare un’antica parabola Sufi che racconta di un uomo che più volte, per vari anni bussa alla porta dell’amata; alla domanda della donna “chi è?” regolarmente risponde “sono io!”; ma la risposta dell’amata è sempre la stessa “non c’è posto per due in questa casa” e puntualmente lo allontana. Un giorno l’uomo ritorna, bussa alla porta ed alla solita domanda, questa volta risponde “sono te”; “entra pure, ora c’è posto”, dice la donna. Nell’opera Io cerco un Tesoro, la giovane donna, già consapevole della propria interiorità, si offre e, quello che cerca, sarà l’amato che saprà dire semplicemente: “siamo parte dello stesso tesoro”. Il significato del dono nell’opera Pour Vous, in cui la giovane donna porge in una ciottola un melograno, è abbastanza esplicito e totalizzante: l’offerta di abbondanza, prosperità e fecondità dovrà, però, misurarsi con il sacrificio e, inevitabilmente, con la morte. Curioso ma non troppo, è il simbolo della rana presente negli strumenti del pittore: sembra che l’artista voglia augurarsi tutto quello che simboleggia il piccolo anfibio: la capacità sostanziale di vivere in due mondi ugualmente attraversabili nel simbolo della conoscenza e della creatività. Claudia Giraudo chiude il ciclo dedicato ai poeti con due opere della stessa valenza simbolica: Gli strumenti del Poeta e La lira del Poeta In entrambi i casi il poeta lascia che siano i fiori a dare testimonianza delle sue effimere parole. Il linguaggio dei fiori, siano orchidee o rose selvatiche, porta con sé sempre il profumo di una poesia, di un gesto poetico a volte più forte di mille parole.
 
AI TEMPI DEL TROVATORE
Mentre in Terra Santa si avvicendavano fra cristiani e musulmani sanguinose rappresaglie e inauditi genocidi, San Francesco nel 1219 lasciò la corte del Sultano d’Egitto Al-Malik Al-Kamil  portando con sé una serie di doni preziosi: oltre il corno usato sino alla sua morte per richiamare i fedeli all’ora della preghiera, il fortuito privilegio di accedere a nuove dimensioni e vie per una rinnovata spiritualità. Importanti per lui furono i colloqui avuti con i massimi maestri Sufi e il conseguente accesso a conoscenze esoteriche: dopo questi incontri il Santo istituì in patria l’Ordine dei Frati Minori gemellandosi così, a quello Sufi dei Frati Maggiori. Nello stesso periodo, dall’altra parte del mediterraneo, Federico II di Svevia intratteneva una forte corrispondenza epistolare con il citato Sultano affrontando i più svariati argomenti, discutendo problemi scientifici, problemi matematici e filosofici. Grazie a questa collaborazione Federico II fu in grado di far tradurre in latino, dalle versioni arabe, vari autori greci, tra cui Aristotele, Platone e Tolomeo; insieme a questi, soluzioni a quesiti di matematica, conoscenze di medicina, di anatomia e di astronomia entrarono finalmente in condivisione fra i due mondi, quello cristiano e quello musulmano. Tant’è che, dalle lontane regioni iraniane, dalla Siria, dall’Egitto, dal Marocco fino a tutta la penisola iberica e il sud della Francia già dall’anno mille, un nuovo modo di trasmettere cultura prese vita. Sotto la spinta del desiderio profondo di conoscenza, in ogni settore delle lettere e delle scienze, si arrivò alla diffusione di decine di centri specializzati all’archiviazione, al dibattito; non a caso, il più musulmano dei re cristiani, Federico II di Svevia inaugurava la prima università statale laica europea in Napoli e lo fece, fuori dall’influenza della supremazia della filosofia scolastica e dal latino come lingua ufficiale. Sempre sotto suo desiderio si sviluppò a Palermo la famosa scuola di poesia siciliana, primo vero caposaldo della nascente letteratura italiana.
Nel ’XII e nel XIII secolo i cieli sotto i quali l’Uomo poteva aspirare a una profonda rigenerazione, erano cambiati: altri cieli vedevano il sorgere di nuove figure alla ricerca di rinnovate dimensioni dello spirito e della poesia, protagonisti assoluti furono senz’altro i trovatori e i giullari. Nel loro peregrinare di città in città esercitavano l’arte del canto e della poesia, raccontavano storie colte, gioviali, ironiche e riportavano eventi e cronache di cui erano stati spettatori. Il tutto si svolgeva nelle piazze dei paesi attraversati fino ad insinuarsi poi nei palazzi delle nobiltà anch’esse desiderose di esotiche conoscenze. Per farsi capire nelle terre attraversate, parlavano in volgare creando nuovi termini più adatti all’oratoria popolare e contribuirono attivamente alla nascita di lingue sempre più vitalizzate da maggiori estensioni di popolazioni e di territori. Tutto questo ebbe un inizio: grazie ad alcune confraternite islamiche di mistici chiamati Sufi che avevano scelto la via della povertà: questi non possedevano nulla e allo stesso tempo reclamavano la libertà di non essere posseduti. I potenti dell’Islam sottostavano alla loro saggezza. I Sufi vivevano riparandosi con una veste di lana che, sotto l’effetto dell’usura, veniva sistematicamente rattoppata con altre pezze di diverso colore e, per certi versi, quell’abito multicolore divenne negli anni il costume privilegiato del trovatore-Sufi e del giullare. Apparteneva al cantore, al cantastorie come identità da preservare anche contro la rigida cultura dei Papi guerrieri che vedevano, in questo rinnovato misticismo laico, il pericolo di una ingestibile e costante eresia.

Galleria Gagliardi - 2015: Mostra personale di Claudia Giraudo "Altri Cieli. Elegie del Trovatore",  testo critico di Stefano Gagliardi