Contributi

i MULINI di DIO, CIRO PALUMBO
Stefano Gagliardi

i MULINI di DIO

Dal 18 Ottobre al 2 Novembre 2014  presso Convento di Santo Spirito,ex Carceri Via Merliano,Nola (NA)
Mostra promossa da: Assessorato ai Beni Culturali Comune di Nola -Con il patrocinio di Diocesi di Nola; Partner: Fondazione Festa dei Gigli  ; In collaborazione con: Associazione Culturale Meridies e Associazione Culturale Pandora
Direzione progetto:  Galleria Gagliardi San Gimignano 
A cura di Alberto Agazzani  con testo di Stefano Gagliardi
 
La mostra personale “i MULINI di DIO” di Ciro Palumbo, promossa dall’Assessorato ai Beni e alle Attività Culturali, s’inaugura nelle sale restaurate al piano terra del Convento di Santo Spirito ex Carceri di Nola.L’itinerario espositivo si snoda attraverso 20 olii su tela e 8 olii su carta: le opere, tutte inedite, hanno come ispirazione l’opera di Pieter Brueghel il Vecchio nel famoso quadro Salita al Calvario del 1564 ben analizzato ed approfondito dal regista Lech Majewski nel film I colori della Passione.Ciro Palumbo ricostruisce il viaggio dell’artista fiammingo partendo dalla metafisica presenza del Mulino e operando in un ideale parallelismo di atmosfere e riflessioni.Per l’artista cinquecentesco olandese tutto sembra terminare nel sacrificio del calvario, per Ciro Palumbo invece, quella fine è un nuovo inizio: è la vittoria del bene sul male, della luce sull’ombra, della speranza sugli inganni della solitudine.Ciro Palumbo trasferisce sulla tela la profanazione del tempo che accoglie nel proprio inganno uomini, che nascono e muoiono, inevitabilmente girovaghi e prigionieri nella ragnatela dell’umano divenire; dipinge I Mulini di Dio che, per la stoltezza dell’umana indifferenza, precipitanorovinosamente, sopravvivono solo come macine ormai ridotte a semplici ruderi dentro scenografie sature dei colori del dramma.Palumbo abbandona l’inserimento dell’elemento simbolico, riduce e distorce le prospettive dei luoghi e, con la potenza dei soli colori, evoca le suggestioni dolorose della profanazione dell’ombra e della solitudine.Il racconto si snoda per gruppi di opere che scandiscono le varie tappe del viaggio dove, alla fine, la farina della fede, grazie al lievito del sacrificio, diventa corpo mistico del pane.Il grande mulino al centro del dipinto fiammingo, e che simboleggia un Dio dominante ma pure, e di contro, la fatica di vivere, per Palumbo si trasforma in un’isola dei vivi, un nuovo ed inaspettato luogo dello spirito e della pittura, una nuova meta che impone un nuovo viaggio nell’invisibile.L’interesse di Palumbo al mistero panico del paesaggio, reso emblematico non a caso dal grande e solitario mulino, è il desiderio insaziabile di sondare il mistero infinito della pittura.Ancora una volta Palumbo s’immerge nelle sue visioni, in quell’ossessione metafisica che lo porta ad intraprendere un viaggio per altre lidi ed altre isole, sfidando il tempo e lo spazio, la fisica e ogni realtà possibile.La pittura qui riacquista e riafferma il suo straordinario primato di rappresentazione dell’invisibile, del trascendente, di un qualcosa per alcuni coincidente con Dio, per altri con una metafisica ancora tutta da dimostrare,   
In ogni tempo, in ogni luogo 
In ogni tempo e in ogni luogo, l’uomo ricrea le condizioni della propria decadenza morale e della perdita della fede, ed in quel tempo e in quel luogo un Innocente torna sul sentiero che porta al Calvario.
Questo è lo scenario in cui s’intrecciano le vicende umane rappresentate da Pieter Brueghel il Vecchio nel suo dipinto “Salita al Calvario”. Ciro Palumbo ricostruisce il viaggio dell’artista fiammingo  partendo dalla metafisica presenza del Mulino e operando in un ideale parallelismo di atmosfere e riflessioni. Nella sua opera, da sinistra a destra, l’artista fiammingo traduce magistralmente questo viaggio della luce che si spenge nell’ombra mentre la natura florida e benevola lentamente lascia spazio a un paesaggio sempre più arido e cupo. Per l’artista cinquecentesco olandese tutto sembra terminare nel sacrificio del Calvario, per Ciro Palumbo invece, quella fine è un nuovo inizio: è la vittoria del bene sul male, della luce sull’ombra, della speranza sugli inganni della solitudine. Il racconto si snoda per gruppi di opere che scandiscono le varie tappe del viaggio dove, alla fine, la farina della fede grazie al lievito del sacrificio diventa corpo mistico del pane.Nei primi lavori Ciro Palumbo dipinge I Mulini di Dio, come solitari monasteri fra le nubi; li rappresenta mentre lentamente, con le loro macine poste alla sommità di rocce impervie e inaccessibili, macinano farina per gli uomini la quale, per coloro che hanno memoria del bene e del male, diventa pane della fede e insieme premessa della loro elevazione spirituale. L’artista dipinge questo dialogo fra terra e cielo e ne sigilla le promesse ambientando i mulini  in paesaggi  dalle verticalità estreme, attraversati da nubi ricche di acqua e di sole: nubi che percorrono cieli limpidi e distesi, dai colori caldi e pieni di speranza. I luoghi sono abitati da uomini che hanno memoria del bene e del male, intorno a loro una natura simbolicamente costruita per la vittoria dei sogni e della fede sulla inadeguatezza del reale. Lo spazio metafisico si dilata e si diffonde: oltre il benevolo mare la promessa di un approdo, oltre la terra la certezza del riparo, oltre il cielo, tra i mulini, la speranza di un’intesa. Gli uomini giusti che vogliono raggiungere i mulini di Dio  devono solo volgere il proprio sguardo al cielo.Ma, dall’alto dei Mulini di Dio, chiara e netta è la visione di un’umanità che nei secoli ripete a se stessa il mantra ossessivo dei propri errori e delle proprie debolezze: troppa umanità sembra assente, non partecipe, come incapace di accettare le verità dei silenzi abilmente raffigurati nel tempo sospeso di quegli ultimi e definitivi orizzonti. Molti uomini, ieri come oggi, non hanno coscienza del bene e del male e, mentre non si curano della memoria del tempo, disperdono il proprio  presente nell’illusione di un più prevedibile e rassicurante futuro.Ciro Palumbo trasferisce sulla tela la profanazione del tempo che accoglie nel proprio inganno uomini, che nascono e muoiono, inevitabilmente girovaghi e prigionieri nella ragnatela dell’umano divenire; dipinge I Mulini di Dio che, per la stoltezza dell’umana indifferenza,  precipitano rovinosamente, sopravvivono solo come macine ormai ridotte a semplici ruderi dentro scenografie  sature dei colori del dramma. Gli orizzonti di queste tele si fanno sempre più ristretti, desolati, senza approdi, nessuna certezza di un riparo, né il conforto di una qualche speranza. L’artista dipinge enormi massi e grandi macine in sentieri da tempo ormai non più transitati: nei cieli, non più nubi cariche di pioggia e di sole, ma strati nuvolosi dai forti colori della tempesta, in terra scenari desolati immersi in colori sulfurei dalle tonalità sinistre.Palumbo abbandona l’inserimento dell’elemento simbolico, riduce e distorce le prospettive dei luoghi e, con la potenza dei soli colori, evoca le suggestioni dolorose della profanazione dell’ombra e della solitudine.La reale sostanza delle sue visioni si trasforma in materia violata, diventa segno inequivocabile di un equilibrio spezzato fra terra e cielo, fra i labirinti delle umane ragioni e la fede in un disegno divino. Quello che prima era un Mulino, quello che prima produceva la farina per il pane della fede, appare ora miserevole testimonianza di un patto violato fra una terra sempre più ostile ed un cielo inesorabilmente cupo, minaccioso e distante.Sotto questo stesso cielo avviene l’ultimo atto che precede la riconciliazione fra l’uomo e il divino: quello della salita al Calvario e della Crocefissione.E’ indubbiamente il momento culmine dell’oscuramento delle coscienze, della violenza delle tenebre  ma allo stesso tempo è l’inizio del riscatto della luce, di una possibile redenzione e di una sicura surrezione. Palumbo racconta tutto questo con grandi intuizioni visive e poetiche, immagina le pietre franate e perdute dei mulini tese a ricomporsi nelle croci del supremo sacrificio: le dipinge come in fuga, lontane dalle ombre della terra, fuori dall’empietà del Calvario, oltre le nubi, in cieli limpidi e radiosi. Per loro più nessun posto nella terra degli uomini. Ora fanno parte di un’altra storia, quella del martirio di un Innocente ed il drappo bianco che le accompagna diventa la metafora della sindone e del suo corpo risorto. Ed è proprio il panno bianco che chiude le visioni di Palumbo: il drappo si sostituisce ai mulini, diventa corpo simbolico, si trasforma in bianca montagna meta e luogo spirituale della comunione del pane. Questo è l’ultimo atto, quello della riconciliazione fra Dio e gli uomini che hanno memoria del bene e del male.
 
Galleria Gagliardi - 2014: mostra personale "I MULINI di DIO" di Ciro Palumbo, testo critico di Stefano Gagliardi