Contributi

i MULINI di DIO è stato scritto, CIRO PALUMBO
Stefano Gagliardi

i MULINI di DIO è stato scritto

Ex Ospedale San Rocco, Piazza San Giovanni Battista, Matera. A cura di Alessandra Frosini, Stefano Gagliardi , Dal 24 Aprile al 7 Maggio 2015
In collaborazione con Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.Con il patrocinio di: Regione Basilicata, Provincia di Matera, Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, Comune di Matera, Arcidiocesi di Matera-Irsina.
 Progetto: Associazione Culturale ArToday Events - San Gimignano  -  Organizzazione evento: Pentagroup ;- Sponsor Tenuta La Vallonea .
 
Nel segno del bianco 
‹‹Il sonno della ragione genera mostri  ›› Ovvero: ‹‹ La fantasia priva della ragione produce impossibili mostri: unita alla ragione è madre delle arti e origine di meraviglie. ››  ( Francisco Goya ) .
 
La Mostra “ i MULINI di DIO ” presentata a Nola (NA) nell’ottobre del 2014, prosegue il proprio cammino nella città di Matera per approdare nei prossimi mesi, a Firenze e a Ferrara. In ciascuna di queste altre sedi, Ciro Palumbo organizza il percorso, apparentemente concluso in Campania, attraverso l’aggiunta di nuove opere a olio, sia su carta che su tela. Il risultato si evolve grazie a un progetto ben più articolato sia in termini formali e simbolici, sia per le sintesi di ulteriori contenuti. A identificare le tre distinte tappe di sosta e di riflessione, stimolate dalla visione dell’opera “ la salita al Calvario “ di Brueghel il Vecchio, per Matera è scelto il titolo, “E’ stato critto”,  per Firenze, quello di “Nella terra degli Uomini” e, per Ferrara, quello conclusivo “ In ogni tempo, in ogni luogo”. Tre titoli diversi a cui vengono poi associati altrettanti colori quali, rispettivamente alle sedi sopracitate, il bianco, il rosso, il nero: sono colori appresentativi di tre momenti deducibili nel percorso e delle conseguenti metafore prevalenti. In occasione della mostra “ i Mulini di Dio”  presentata a Nola scrissi che, se guardiamo attentamente l’opera “ la salita al Calvario ”, ‹‹ l’ar­tista fiammingo traduce magistralmente, da sinistra a destra del dipinto, un viaggio della luce che si spenge nell’ombra mentre la natura florida e benevola lentamente lascia spazio a un paesaggio sempre più arido e cupo. Per l’artista cinquecentesco olandese tutto sembra terminare nel sacrificio del Cal­vario, per Ciro Palumbo invece, quella fine è un nuovo inizio: è la vittoria del bene sul male, della luce sull’ombra, della speranza sugli inganni della soli­tudine… Questo è’ l’ultimo atto, quello della riconcilia­zione fra Dio e gli uomini che hanno memoria del bene e del male.››
Quindi, il colore dominante delle opere, circa il desiderio di questa rinnovata intesa non poteva che essere bianco: colore solare per antonomasia che, quale somma di tutte le tonalità, si erge a simbolo dell’assoluto e della divinità stessa. Nella totalità tonale di tutta l’iride, questo colore di luce esprime, meglio del nero, tutto l’inizio e tutta la fine: un intero difficile da gestire salvo l’impegno di affrontare quel viaggio silenzioso negli spazi, a volte abbandonati, a volte saturi, del nostro sentire interiore; come premio un vero e proprio riallineamento della coscienza di fronte al mistero del divino. Palumbo accetta la sfida del dialogo con la materia-spazio luce e il progetto pittorico si fa decisamente più mentale, denso di sorprendenti immagini per sintesi formali e qualità cromatiche. Opere in qualche modo liberate dalla necessità del racconto descrittivo e sempre più aderenti al linguaggio simbolico proprio dell’esplorazione metafisica . Sul piano pittorico certamente  l’avvio del gesto creativo si scontra con il bianco indefinito della tela, quasi vuoto primitivo e sede di ancestrali silenzi e di attimi sospesi. Nella tavolozza dell’artista spesso s’insinua il disagio di lottare con un colore senza tinta in costante oscillazione fra luminosità calde e solari e quelle lunari e fredde. Palumbo affronta il colore bianco che si trasforma nella direzione del percorso della luce dall’Est all’Ovest e si alimenta di simbologie diverse, secondo dimensioni filosofiche e di fede, ora rivolte caparbiamente alla terra, ora protese al cielo. Per Palumbo, il bianco è comunque un colore fortemente metaforico e, come in tutte le culture, diviene simbolo di luce e di elevazione spirituale. Da una parte è luce che nasce ad Est, che nasce dal sole e comprende in sé tutti i colori: bianca è la potenza del bene che lotta contro le oscure trame del male, bianco è il colore che accompagna l’Innocente verso il martirio e che diventa veste del Santo. Ovunque e comunque, il bianco rimane quel colore privilegiato, che porta con sé l’alto valore simbolico della trascendenza e della propria emancipazione dalla materia: è luce presente nei riti di passaggio sia laici che religiosi e nei rituali d’iniziazione filosofica e spirituale. Dall’altra parte è luce che muore ad Ovest, che si spenge, per sottrazione, nel chiarore lunare e nella progressiva perdita di ogni colore: precipita in definitiva in una colorazione senza tinta, diventa opaco, livido, tristemente pallido, ormai lontano dal proprio originale candore e innocenza. E’ il pallore del malato, dell’insonne, è il silenzio della mente e della solitudine del disperato; è il bianco opaco della morte che s’impossessa lentamente del corpo, è il sudario dell’Innocente. Palumbo quindi si avvale della tavolozza “semplificata” del bianco che usa su fondali saturi del bianco stesso, del rosso, del nero, e sui quali proietta visioni esemplari per sintesi simbolica e costruzione geometrica. Qui, i mulini, le  pietre franate, il drappo, la croce, i chiodi e la corona di spine del martirio vengono  isolati da ogni contesto narrativo e immersi in una dimensione atemporale  quasi a dire che l’oggi è come  ieri!” e nulla cambia dentro la ruota del divenire.  Coerentemente, l’opera nel suo insieme si rafforza proiettandosi verso immagini e archetipi che si rivelano lontano da ogni preziosismo cromatico e da artificiose ostentazioni grafico-stilistiche. Nelle opere come “Il Mulino” e “ Il mulino di Pietra”  questo Passaggio di sintesi viene in qualche modo portato al suo estremo compimento: i due mulini diventano metafore di un dramma non risolto, dimenticato in uno spazio senza tempo, sono icone fortemente comunicative che trascendono la necessità stessa dell’uso della parola. Sono risolte nel bianco della solitudine, fuori dalla speranza di un alito vitale di un vento risolutore. Nelle ultime opere, Palumbo sembra sottolineare con maggiore forza che “la verità non è mai nuda ma è sempre celata nell’evidente” e, proprio in virtù di questa idea, forte e manifesta, l’Artista recupera l’inserimento di alcuni elementi simbolici, come la roccia impervia ormai priva di qualsiasi varco accessibile: nelle precedenti tavole, veniva rappresentata quale metafora solitaria del senso dell’ascesa, ora invece diventa immagine di una meta inaccessibile e spettrale: avvolto nel proprio bianco chiarore lunare, si protende verso l’ultimo squarcio di luce e di speranza. (Lassù). Scrivevo: ‹‹ dall'alto dei Mulini di Dio, chiara e netta è la visione di un’umanità che nei secoli ripete a se stessa il mantra ossessivo dei propri errori e delle proprie debolezze›› e allora quel luogo non è più  per gli uomini: è solo uno spazio di pietra condannato, dal silenzio delle coscienze, a vivere nel bianco ossessivo, come concluso, del nulla.( Nel bianco, nella luce, nel nulla).         Se, nell’opera ”Tre chiodi” , l’essenza del dramma del Calvario è il presagio della crocefissione di un Dio, quello che è sicuramente manifesto diventa l’oscuramento delle coscienze e della violenza delle tenebre: tutto precipita rovinosamente dentro scenografie sature dei colori del dramma, là dove prospettive negate si colorano del colore della morte, del giallo sulfureo del maligno e del bianco cenere dei ruderi come luce opaca piegata dal destino. E quando tutto sembra giunto al termine: invece le ‹‹…le pietre franate e perdute dei mulini vanno a ricomporsi nelle croci del supremo sacrificio come in fuga lontano dalle ombre della terra.››: qui, con maestria, nelle opere “Il messaggio” e “i Segni”, Palumbo torna a parlarci di speranza, di leggerezza, di un cammino ancora in atto, dell’anima che non rinuncia all’ascesa verso il proprio spirituale compimento. Massi bianchi, questa volta del bianco luminoso della luce, in definitiva opposizione allo spazio-tempo del nero assoluto. Massi accompagnati ( opere: Rimanenze; Segni) dal bianco candore del drappo: evidente ‹‹… metafora della Sindone e del corpo risorto››. Nell’ultimo atto di questo viaggio ‹‹..il drappo si sostituisce ai mulini, diventa corpo simbolico, si trasforma in bianca montagna meta e luogo spirituale della comunione del pane››. Proprio nell’opera (L’ultimo atto) ritroviamo il bianco del drappo rappresentato nel colore della luce, quella solare, colto nelle sfumature del giallo, colore partecipe del divino e della conoscenza.
 
Galleria Gagliardi - 2015 : Mostra personale di Ciro Palumbo' "I Mulini di Dio - è stato scritto" testo critico di Stefano Gagliardi