Comunicato Stampa

Human Constructions di TIRONI-YOSHIDA
A cura di Alberto Agazzani Fortezza Monumentale del Priamar
dal 09/07/2011 al 01/09/2011

2011 - Galleria Gagliardi, Savona

Il sogno di una radio che si credeva un pensatore.

C'è stato un momento preciso della storia millenaria della cultura occidentale, fra i molti riconducibili, a vario titolo, ad altrettante varie origini dei molteplici aspetti che compongono quella che chiamiamo comunemente “Modernità” (da Giotto a Duchamp attraverso Piero, Tiziano, Velázquez e Picasso), nel quale a variare o mutare radicalmente non è l'oggetto, la forma o il linguaggio dell'arte, ma la sua anima più intima. Fino alla vigilia della Presa della Bastiglia, nell'insanguinato luglio del 1789, infatti, l'arte e gli artisti si erano prodigati nella celebrazione dei più alti valori riferibili ad una specifica committenza incarnata primariamente da Dio, Principe e Stato. Con la caduta dell' Ancien Régime francese, sorta di nuovo Sacco di Roma o di anticipato 11 settembre, l'arte scopre nuovi valori e nuovi temi da indagare; scopre, per così dire, il suo “lato oscuro”. Non più, dunque, la celebrazione della gloria, altissima ed immortale di re, imperatori, principi o papi, ma tutto ciò che fino ad allora era stato rigettato e rifiutato: il reale, anche e soprattutto nella sua dimensione più bassa. L'arte non avrà più il solo fine di abbellire, imitare, creare e ri-creare un ideale, ma diventerà strumento primario, per dirla con Michel Foucault, di “messa a nudo, smascheramento, denuncia, raschiatura, scavo, riduzione violenta dell'esistenza ai suoi elementi primari” . Che prosegue: “Non c’è dubbio che questa visione dell’arte si sia andata affermando in modo sempre più marcato a partire dalla metà del XIX secolo, quando l’arte (con Baudelaire, Flaubert, Manet) si costituisce come luogo di irruzione di ciò che sta in basso, al di sotto, di tutto ciò che in una cultura non ha il diritto o quanto meno non ha la possibilità di esprimersi. […] Antiplatonismo: l’arte come luogo di irruzione dell’elementare, come messa a nudo dell’esistenza. Di conseguenza, l’arte ha stabilito con la cultura, le norme sociali, i valori e i canoni estetici, un rapporto polemico, di riduzione, di rifiuto e di aggressione. È questo l’elemento che fa dell’arte moderna, a partire dal XIX secolo, quel movimento incessante attraverso il quale ogni regola stabilita, dedotta, indotta, inferta sulla base di ciascuno dei suoi atti precedenti, è stata respinta e rifiutata dall’atto successivo. In ogni forma d’arte si può trovare una sorta di cinismo permanente nei riguardi di ogni forma d’arte acquisita: è quello che potremmo chiamare l’antiaristotelismo dell’arte moderna. L’arte moderna, antiplatonica e antiaristotelica: messa a nudo, riduzione all’elementare dell’esistenza; rifiuto, negazione perpetua di ogni forma già acquisita. Questi due aspetti conferiscono all’arte moderna una funzione che in sostanza si potrebbe definire anticulturale. Bisogna opporre al conformismo della cultura il coraggio dell’arte, nella sua barbara verità. L’arte moderna è il cinismo nella cultura, il cinismo della cultura che si rivolta contro se stessa. Ed è soprattutto nell’arte, anche se non solo in essa, che si concentrano nel mondo moderno, nel nostro mondo, le forme più intense di quella volontà di dire la verità che non ha paura di ferire i suoi interlocutori. Restano naturalmente molti aspetti ancora da approfondire, e in particolare quello della genesi stessa della questione dell’arte come cinismo nella cultura” .
Al di là delle importanti conseguenze, poi degenerate, indotte da questa “rivoluzione” culturale, ciò che preme qui evidenziare è l'importanza che nell'espressività moderna hanno assunto nuovi ed inediti temi, come ad esempio quello dell'ecologia e dell'ambiente, fondamentali nell'opera del duo Tironi e Yoshida oggetto di questo saggio.
Non è questa la sede per dibattere in maniera approfondita di un argomento così annoso ancorché d'estrema attualità, ma è importante sottolinearne la fondamentale importanza e basilarità, tra i molti e complessi temi comunque riscontrabili nella genesi della sensibile espressività del giovanissimo duo di scultori.
Le scelte stilistiche e poetiche messe in atto da Tironi e Yoshida sono solo apparentemente semplici, riconducendosi (ma non ricucendosi) ad un filone, quello Dada prima e del Nouveau Réalisme poi, che, sulla scia di quell'allora inedito approccio al concetto di “arte”, soprattutto francese per le ragioni esposte in apertura, hanno avuto molteplici e non sempre riusciti, epigoni nel corso del “secolo breve”. Ma in Tironi e Yoshida, come spesso accade allorché i fenomeni stranieri varcano i confini del Bel Paese, l'esperienza francese s'arricchisce di nuovi ed inaspettati caratteri, sconfinando in un'idealità visionaria, ironica e contemporaneamente così pregna di Bellezza e di metafisici valori.
Se i Dada (e nuovi tali) figli di Duchamp ed i Noveaux Réalistes, infatti, ponevano l'attenzione principalmente sul progetto mentale, sull'evento e sull'azione dell'artista, più che sull'opera (lezione raccolta in seguito, in tema di denuncia delle problematiche ambientali, dalle “azioni” di Joseph Beuys) nel caso dei giovani scultori lombardi è sempre l'opera d'arte finale la risultante unica di un concetto e di un progetto ben definiti e tutt’altro che focaultianamente cinici; un'opera che, non a caso, racchiude in sé, ancorché realizzata con materiali anomali (scarti elettronici, rifiuti “pop”, frammenti di giocattoli senza più memoria né affetto), tutte le caratteristiche di una scultura classica, ivi compresa la tanto deprecata, nella modernità dell'orrore e delle provocazioni ad ogni costo, Bellezza. Il “gesto” Dada, dunque, in  Tironi e Yoshida si limita e riduce ad un uso originale, graffiante e raffinatamente provocatorio, di materiali inusuali e “bassi”, alla sublimazione e quasi alchemica trasformazione di oggetti dimenticati e privi di qualunque valore (anche ma evidentemente non solo estetico) in un “qualcosa” di completamente diverso, di esteticamente ed espressivamente elevato: in sculture che,attraverso la Bellezza e l'armonia, riscattano la dignità perduta d'oggetti senza memoria né utilità.
Se, infatti, nelle opere dadaiste o dei Noveaux Réalistes la natura e l'origine dell'oggetto rimangono fortemente legate a loro stesse, per non distrarre l'attenzione dall'azione, in Tironi e Yoshida la mimetizzazione è assoluta e, solo ad uno sguardo attento e certamente non subitaneo, si rivelano nella loro verità, contemporaneamente evidenziando l'ideologica poetica della denuncia ambientale. E' una sublime e raffinatissima operazione di surrealismo puro e senza tempo, più vicina, non a caso, alle invenzioni di un'Arcimboldo che a quelle, pure cariche di finissimo concettualismo ma più provocatoriamente estreme, di Duchamp, Man Ray, Magritte, Dalì, Picasso, Miró o Chevalier. Nel surrealismo francese vi è l'invenzione di ciò che altrimenti risulterebbe impossibile nella realtà; in Tironi e Yoshida vi è la ricreazione del visibile, del conosciuto e del reale financo nelle sue accezioni più alte e sublimi, come nel caso delle citazioni da immortali capolavori dell'arte occidentale. Un'operazione, quella del nostro duo, paradossalmente e sorprendentemente (per il riferimento nipponico immediatamente riconducibile alle origini di Koji Yoshida) più riconducibile all'opera di Utagawa Kuniyoshi, maestro xilografo nipponico del XIX secolo, per fine, fresca e pungente ironia, chiarezza del prototipo, carica vitale ed intelligente parodia.
Attraverso questi elementi, dunque, le sculture di Tironi e Yoshida affascinano, seducono, intrigano e divertono, restituendo all'arte la sua fondamentale prerogativa di far riflettere, ed interrogare, quindi educare, su un tema quanto mai d'urgente attualità. Per arrivare a riaffermare il potere sublimante e trasfigurante dell'arte, ma anche la capacità del genio umano di creare oltre ogni distruzione.


Alberto Agazzani


1. Vedi Foucault Michel, Le Courage de la vérité. Le gouvernement de soi et des autres II, Cours au Collège de France, 1984. Paris, Éditions de l'École des Hautes Études en Sciences Sociales, Gallimard, Éditions du Seuil, coll. « Hautes Etudes », 2009, 368 p.

2. Ibid